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Tag: dente

Impianti a carico immediato:

L’impianto dentale a carico immediato permette di sostituire in modo efficace e in sole 24 ore uno o più denti mancanti a causa dell’età o di traumi alla bocca. L’impianto è una vite artificiale che viene inserita chirurgicamente nell’osso, alla quale viene ancorata una protesi dentale fissa o mobile.

Tale tecnica viene utilizzata soprattutto per la riabilitazione di arcate intere ed offre una valida alternativa all’implantologia tradizionale.

a chirurgia implantare a carico immediato, quindi, permette di applicare una forza su un impianto al momento stesso dell’intervento chirurgico mediante il posizionamento di un manufatto protesico (corona, ponte, etc.) direttamente avvitato sull’impianto.

Anche in presenza di carico immediato è necessario limitare al massimo i micro movimenti, al fine di non interferire con l’osteointegrazione e perdere gli impianti. Tale scopo può essere ottenuto, in presenza di impianto singolo, evitando il più possibile i contatti in occlusione, e in presenza di più impianti, solidarizzandoli tra loro per mezzo di barre o strutture di rinforzo.

Carico immediato con chirurgia guidata

Normalmente il sistema più preciso, esteticamente valido e sicuro per poter mettere degli impianti a carico immediato è eseguire l’intervento – spesso senza punti – mediante la chirurgia guidata. Attraverso questa procedura è possibile sapere in anticipo la posizione esatta dell’inserimento degli impianti. Il tutto è pianificato tramite Tac al computer così da poter costruire le protesi prima dell’intervento e poterle avvitare anche il giorno stesso dell’operazione.

La chirurgia guidata richiede una serie di appuntamenti prima dell’intervento chirurgico, durante i quali vengono registrate le impronte dentarie e studiati i parametri funzionali ed estetici di ogni singolo paziente

Carico immediato con chirurgia tradizionale

È possibile risparmiare eseguendo l’inserimento degli impianti attraverso una chirurgia tradizionale. Eseguiti gli impianti si trasforma la protesi mobile in protesi fissa forandola in corrispondenza degli impianti una volta eseguito l’intervento e permettendone quindi l’avvitamento sugli impianti stessi ed eliminando porzioni fastidiose della protesi mobile come flange e palato.

Questa soluzione non ha le caratteristiche di precisione ed estetica della precedente ma è una soluzione più economica e comunque valida. 

Impianti singoli e impianti multipli

Ovviamente, il bloccaggio di più impianti tra loro, riduce fortemente il rischio di sottoporre i singoli impianti a tali micro movimenti, distribuendo le forze masticatorie su una superficie più ampia offerta dalle strutture di supporto (barre avvitate, splintaggi, connettori, etc.).

Per quanto riguarda gli impianti singoli, in condizioni cliniche standard, l’impianto può essere sottoposto a carico immediato solo nel caso in cui la sua stabilità primaria sia estremamente elevata. In ogni caso, un impianto singolo a carico immediato viene solitamente sottoposto ad un carico non funzionale mediante infraocclusione; in sintesi, la corona singola viene avvitata sull’impianto ma viene realizzata in modo da non entrare in contatto con i denti antagonisti durante la chiusura della bocca.

Ovviamente, durante la masticazione, tali contatti non possono essere evitati del tutto ed il rischio di insorgenza di micro movimenti deleteri per l’osteointegrazione non può essere completamente esclusa sia nel caso di più impianti multipli solidarizzati o ancor più nel caso di impianto singolo.

Quando estrarre il dente del giudizio?

Non si può dare una risposta precisa. Ci sono solitamente quattro denti del giudizio in tutto, uno per ogni emiarcata; succede però talvolta che ne compaia qualcuno in più (iperdonzia) o qualcuno in meno (ipodonzia). Quando ce ne sono più di quattro è sempre meglio estrarre denti del giudizio.

Ricordiamo brevemente che i terzi molari, assenti nella dentizione dei neonati , esordiscono tra i 18 ed i 25 anni (non a caso, vengono chiamati denti del giudizio), un’ età in cui tutti gli elementi dentali si sono collocati in una postazione precisa. L’irruenza con cui i denti del giudizio erompono dalle gengive potrebbe provocare mal di denti, affollamento dentale e molti altri disturbi, tali da rendere necessaria un’estrazione dentale.

L’estrazione dei denti del giudizio (detta anche avulsione) può essere eseguita a fini preventivi o curativi. Nel primo caso, un dente del giudizio può essere rimosso per salvaguardare la corretta posizione ed il giusto allineamento degli altri denti, minimizzando il rischio di malocclusione e denti storti. Inoltre, un’estrazione precoce dei denti del giudizio (immediatamente dopo la loro estrusione dalla gengiva) può essere raccomandata dal dentista per limitare eventuali rischi e complicanze che potrebbero invece sorgere rimuovendo un terzo molare già completamente formato durante l’età adulta.
A scopo terapeutico, invece, l’estrazione dei denti del giudizio si rivela inevitabile nelle seguenti circostanze:

  • Affollamento dentale: questa condizione richiede l’estrazione dei denti del giudizio dato che può rendere difficoltosa la pulizia dentale, quotidiana od interferire con la normale masticazione
  • Corrosione del dente adiacente: un dente del giudizio, ancora incluso nella gengiva, spinge prepotentemente contro le radici del dente adiacente, creando dolore  tale da richiedere un’estrazione
  • Grave infezione al dente del giudizio: in questi casi, la rimozione del dente infetto si rivela l’unica soluzione adeguata. Un’ otturazione od una devitalizzazione  sarebbero, invece, interventi superflui per un dente del giudizio
  • Inclusione dentale : il dente del giudizio viene bloccato nel suo cammino di crescita e sviluppo dalla gengiva, rimanendo intrappolato all’interno dell osso mandibolare o mascellare. Questa condizione espone il dente al rischio d’infezioni, carie , ascessi dentali e cisti.
  • Infiammazione gengivale causata dal mal posizionamento di un dente del giudizio
  • Mal di denti cronico, provocato dalla pressione esercitata dal dente del giudizio sui denti attigui
  • Pericoronarite  dentale: un dente del giudizio parzialmente erotto può dar luogo ad un’infiammazione gengivale acuta molto fastidiosa e dolorosa
  • Rottura o scheggiatura  del giudizio

DA COSA DIPENDE IL COLORE DEI DENTI?

Il naturale colore del dente non dipende dallo strato di smalto esterno bensì dalla dentina, ovvero lo strato più interno, che dall’adolescenza in poi tende ad ispessirsi e a cambiare leggermente tonalità.

Il bianco naturale comprende infatti sfumature giallognole più o meno accentuate che dipendono dalla presenza di una serie di macchie che si possono depositare sullo smalto intaccando la dentina. Capita con il passare del tempo, nel caso di otturazioni metalliche in amalgama, e soprattutto se non c’è una corretta e costante igiene. In questo caso, lo smalto tende a colorarsi assorbendo i pigmenti da cibi e bevande. Lo smalto infatti, non possiede un colore proprio, è traslucido in quanto formato da cristalli di idrossiapatite, pertanto dallo strato superficiale traspare il colore della dentina sottostante.  Il suo spessore inoltre, nel corso degli anni tende a ridursi per usura, mentre la sua superficie tende a diventare più liscia. È naturale quindi assistere nel corso della vita ad un graduale ingiallimento dei denti.

Ma tornare all’originale brillantezza del bianco naturale si può, grazie alle nuove tecnologie e ai materiali al servizio dell’odontoiatria. Non solo, con diversi trattamenti sbiancanti è possibile anche arrivare ad ottenere un bianco un po’ più artificiale.

Prima di tutto però, è importante ricordare che i denti vanno quotidianamente spazzolati per rimuovere i residui di cibo e soprattutto dopo aver assunto alimenti molto dolci perché più si mantiene la pulizia e meno si incorrerà nell’attacco di batteri che innescano il meccanismo della pigmentazione della dentina.

MA QUANDO È COMPARSO IL PRIMO DENTIFRICIO?

E COME SI LAVAVANO I DENTI PRIMA?

Non siamo riusciti a trovare informazioni certe sui primissimi antenati del dentifricio. Pare che già gli antichi Egizi nel 5000 a.C. avessero l’abitudine di pulire i loro denti (secondo i ritrovamenti di alcuni manoscritti).

Con certezza si può affermare però che Greci e Romani provvedessero in qualche  modo alla loro igiene orale. Le donne romane si dice masticassero una resina aromatica per profumare la bocca. Sicuramente venivano usati miscugli di ingredienti per creare dentifrici molto abrasivi: ossa tritate e conchiglie d’ostrica erano gli ingredienti principali, probabilmente utilizzati con l’ausilio di stracci  di cotone o lino. L’aggiunta delle spezie o di carbone era utile invece per migliorare l’alito.

Polveri di vario tipo comunque sono state usate per l’igiene dentale sino al XIX secolo!

Alla fine del Cinquecento si parlava di “bianco dentario” e di “sapone per i denti”, il che fa presupporre l’utilizzo di prodotti per la pulizia dei denti.

Dunque sino al XIX secolo il dentifricio era una polvere abrasiva utilizzata per togliere i residui di cibo dai denti, e spesso non aveva un buon sapore. Grazie all’aggiunta di glicerina e di altri ingredienti invece, verso la fine del 1800 divenne molto più simile a ciò che utilizziamo oggi, ossia una pasta con una consistenza e un sapore gradevole.

Dovremo però attendere il 1873 per la produzione industriale e la diffusione di massa.

Circa 20 anni più tardi infatti nacque la Dr Sheffield’s Creme Dentifrice, la crema dentifricia proposta finalmente nel tubetto morbido spremibile (sino a quel momento il dentifricio era venduto in tubetti di vetro).

Fu la Colgate nel 1896 a dare il via alla commercializzazione su vasta scala del dentifricio nel tubetto spremibile inventato da Sheffield.

Nel XX secolo poi ci sono state alcune sostanziali modifiche alla composizione della pasta dentifricia, ma Colgate ha aperto la strada al dentifricio così come lo conosciamo oggi.

Recessioni gengivali e otturazioni al colletto:

Le patologie che possono colpire la bocca sono numerose e tra queste una condizione molto comune è quella del colletto dentale scoperto in cui, la parte dentale che si trova tra dente e gengiva, si scopre rendendo quella zona della bocca particolarmente sensibile.

Ad essere colpiti da questa patologia sono normalmente i canini e gli incisivi, ma anche gli altri denti possono essere soggetti a rimanere scoperti vicino alla gengiva.

Sintomi del colletto dentale scoperto

  • ipersensibilità dentinale
  • dolore alle gengive
  • Denti che sembrano più lunghi o più grandi
  • Processi cariogeni
  • alitosi
  • Arrossamento e sanguinamento gengivale
  • Mobilità dei denti durante la masticazione

La retrazione gengivale con conseguente colletto dentale scoperto è una patologia che si manifesta gradualmente ed è preceduta da una serie di sintomi e segnali molto importanti, a volte sottovalutati.

Il sintomo principale è sicuramente una sensibilità dentale che si manifesta con un dolore acuto e persistente quando si assumono cibi o bevande troppo caldi o freddi o quando si lavano i denti.

Anche il dolore alle gengive è un sintomo classico del colletto dentale scoperto e si presenta proprio nel punto in cui la gengiva inizia a ritirarsi.

Oltre al dolore, però, la recessione gengivale genera anche un effetto ottico per cui i denti appaiono più allungati o più grandi.

Altri sintomi sono la formazione di carie  e l’alitosi, che spesso è il primo segnale di molte infiammazioni dentali tra cui proprio la retrazione delle gengive.

Con questa patologia le gengive diventano più sensibili e più soggette al sanguinamento, soprattutto quando si lavano i denti, e diventa anche più difficile mangiare perché i denti risultano meno saldi.

Cause del colletto dentale scoperto

  • retrazione gengivale
  • Predisposizione genetica
  • Fenotipo gengivale
  • Piercing
  • Bruxismo
  • Disturbi alimentari
  • Infezione alle gengive
  • Scarsa o scorretta igiene orale
  • Parodontite

La causa principale di questa patologia è appunto la retrazione gengivale, o recessione gengivale, che consiste nello spostamento della gengiva verso la radice del dente lasciando così parte del cemento radicolare scoperto.

Può verificarsi in caso di predisposizione genetica alla malattia o per la struttura della gengiva stessa, per cui può manifestarsi nonostante le precauzioni.

In caso di presenza di un piercing al labbro o alla lingua si può incorrere nel colletto dentale scoperto che, irritato e danneggiato dal piercing, inizia piano piano a recedere.

Anche il bruxismo, patologia che porta a digrignare e serrare i denti involontariamente, può portare allo stesso risultato.

Soggette a retrazione delle gengive sono anche le persone che soffrono di disturbi alimentari come anoressia e bulimia, patologie che inducono chi ne soffre a vomitare anche più volte al giorno. L’acidità dei succhi gastrici causa un processo di erosione che danneggia non solo lo smalto dei denti ma anche il colletto dentale, inducendolo quindi a ritirarsi.

In generale anche le infezioni alle gengive causate dai batteri possono incidere sul colletto dentale scoperto in quanto, i fibroplasti responsabili della compattezza dei tessuti, cominciano a degenerarsi facendo ritirare le gengive.

Le cause scatenanti più comuni dei colletti dentali scoperti comunque rimangono l’uso scorretto dello spazzolino e la parodontite.

Un utilizzo sbagliato dello spazzolino (per esempio spazzolare i denti troppo energicamente) o di uno spazzolino a setole dure può corrodere il tessuto gengivale e rendere i denti sensibili.

In caso di infiammazione gengivale, invece, la causa più probabile è la parodontite, conosciuta anche con il nome di piorrea una malattia che colpisce tutto l’apparato di sostegno del dente che comprende osso, gengiva e legamento parodontale.

Nel momento in cui si sviluppa la piorrea i tessuti che sostengono il dente si infiammano in maniera così aggressiva che rischiano di essere distrutti e, se non si interviene prontamente, gengiva e osso rischiano di rovinarsi al punto di iniziare a recedere fino a causare la perdita dei denti.

In caso di parodontite, lo stato infiammatorio si verifica a causa della presenza della placca batterica nel solco gengivale che si forma in seguito ad una scorretta cura orale che va ad intaccare la salute non solo della bocca ma anche del resto dell’organismo.

Rimedi per il colletto dentale scoperto

  • Otturazione in composito
  • Faccette in ceramica
  • Intervento chirurgico

Per risolvere il problema del colletto dentale scoperto si può ricorrere a strade diverse in base alla gravità della patologia.

Si può ricorrere per esempio all’otturazione in composito dei colletti dentali scoperti, operazione che viene eseguita con una tecnica adesiva.

Altrimenti si possono applicare delle faccette in ceramica, sottili lamine in ceramica dello spessore di 0,7 mm che vengono applicate sulla superficie dei denti così da modificarne forma, colore, lunghezza e posizione ed hanno lo scopo di coprire la superficie del dente.

L’opzione più importante invece, destinata ai casi più gravi, è quello di effettuare un intervento di chirurgia che serve a riportare le gengive ritirate alla loro posizione originale, facendola scorrere, ed eventualmente applicando un innesto per aumentarne lo spessore.

Ritrattamento endodontico:

Cominciamo con lo spiegare che il ritrattamento canalare è un nuovo trattamento canalare dentale che è stato eseguito quando il trattamento endodontico iniziale non ha avuto lo stesso successo oppure è fallito. Questo trattamento consisterà nella rimozione dei materiali di riempimento dai canali radicolari dentali per pulirli e rimodellarli. Il ritrattamento canalare terminerà tipicamente con una nuova sigillatura dei canali radicolari. Ma quando sarà necessario procedere nell’eseguire un ritrattamento canalare? Ci sono una serie di sintomi e segni che possono indicare che il trattamento endodontico non è andato come previsto, cioè ha fallito. Questi segni e sintomi possono essere di vario tipo e includono la presenza di dolore persistente nel dente trattato che potrebbe anche aumentare con il passare dei giorni. Il ritrattamento canalare potrebbe anche rendersi necessario in caso di una infiammazione facciale del dente trattato endodonticamente o in caso di fratture endodontiche dei denti e di tenerezza alla percussione o alla palpazione del dente. Segni radiologici che un canale radicolare non è stato trattato o riempito correttamente o completamente sono facilmente individuabili dal dentista, e in questi casi non resterà altra alternativa all’estrazione del dente che procedere con il ritrattamento canalare. Quando si parla di ritrattamento canalare dolore e fastidio possono essere presenti in minima parte nella fase successiva all’anestesia locale ma tenderanno comunque a sparire nel giro di poco tempo. Il ritrattamento canalare diventerà necessario anche in presenza di canali radicolari accessori che non sono stati o non potevano essere trattati nella prima endodonzia. Anche la comparsa di una nuova carie o lesione infettiva che colpisce nuovamente il canale radicolare dentale potrebbe essere uno dei motivi per cui il dentista valuterà il ritrattamento canalare al pari di una frattura della corona o dell’otturazione che ha causato un nuovo processo infettivo nel dente. Di fronte a uno o più segni e/o sintomi sopra descritti è necessario recarsi rapidamente dallo studio dentistico.

Ritrattamento canalare: come si fa

Come abbiamo già accennato uno dei motivi che possono rendere opportuno valutare un ritrattamento canalare sono la contaminazione da precedente trattamento endodontico, una frattura dentale, un processo infettivo e così via. Se un paziente si presenta nello studio dentistico con un dente devitalizzato e uno dei sintomi che abbiamo elencato, il dentista capirà subito che il dente devitalizzato non è guarito in modo adeguato. E’ il caso, ad esempio, di un dolore che è peggiorato dopo il trattamento iniziale e che compare ogni volta che si mastica o si morde. Si consideri inoltre che uno o più canali radicolari mal otturati e carie ricorrenti possono essere individuati facilmente con una radiografia. Inoltre si potrebbe avere una lesione apicale che non esisteva all’inizio del trattamento endodontico. La modalità di esecuzione del ritrattamento canalare inizierà con un esame clinico e radiografico del dente infetto. Sarà fondamentale fin dall’inizio stabilire la causa che ha causato il fallimento del primo trattamento endodontico. Una volta chiarite tutte le informazioni e la causa del fallimento endodontico è possibile procedere, se possibile, ad eseguire in concreto il ritrattamento canalare. Il trattamento verrà eseguito utilizzando l’anestesia infiltrativa nello studio dentistico, quindi questo trattamento non causerà alcun dolore o disagio. Il ritrattamento canalare consisterà nella rimozione del materiale di riempimento dal primo canale radicolare e nella pulizia del nuovo processo infettivo. Dopo aver fatto ciò e rimodellato i canali radicolari, si procederà nuovamente alla corretta otturazione di questi. Prima del ritrattamento canalare il dentista specialista dovrà verificare che il dente possa essere effettivamente ricostruito, che il parodonto sia sano e che i canali radicolari siano accessibili senza ricorrere alla chirurgia. Inoltre, il paziente deve mostrare adeguate abitudini di igiene orale, sentirsi motivato a preservare i propri denti naturali.

Endodonzia multicanalare o bicanalare? Le differenze

L’endodonzia, mono o multicanalare, è un intervento al giorno d’oggi considerato di routine e solitamente non doloroso perché il paziente viene sottoposto ad una anestesia locale, trattamento indispensabile per evitare di provare dolore visto che si vanno a toccare le parti più interne e sensibili del dente che sono attraversate da vasi sanguigni e nervi.

Solitamente un trattamento di endodonzia viene eseguito in questo modo: si parte dall’anestesia locale per eliminare il dolore, soprattutto in tutti quei casi in cui la polpa dentale è infetta o compromessa ma ancora sensibile agli stimoli.

Si opera dunque una ricostruzione provvisoria della corona dentale, specie se quest’ultima risulta essere molto compromessa per eliminare la carie senza dover rinunciare alle pareti dentarie. A questo punto si inserisce la diga di gomma per isolare la parte da operare e si apre la cosiddetta camera pulpare. L’obiettivo dell’endodonzia è ovviamente trovare i canali radicolari ed attraverso strumenti appositi, asportare la polpa dentaria infetta. Dopo aver ripulito per bene il tutto, l’endodonzia prevede un’otturazione canalare mediante “guttaperca”, ovvero un materiale plastico e modellabile con il calore, associato a un cemento canalare. Viene quindi ricostruita la corona, controllato il tutto tramite una radiografia finale e il lavoro è ultimato.

Nonostante l’anestesia locale, è possibile che dopo un intervento di endodonzia il paziente lamenti una sensazione di fastidio e gonfiore che è possibile tenere a bada mediante un antidolorifico.

La differenza tra pluricanalare e bicanalare dipende esclusivamente da che dente si deve trattare , se a una, due o più radici da trattare.

Un dente devitalizzato può fare male?

I denti devitalizzati a volte possono fare ancora male e spesso i pazienti si chiedono per quale motivo ciò avvenga. In questo articolo capiremo quali sono i motivi per cui un dente devitalizzato fa male e, soprattutto, analizzeremo le possibili soluzioni a questo problema.

Innanzitutto, è importante distinguere due situazioni: quando il dente è appena stato devitalizzato e quando il dente inizia a provocare fastidio tempo dopo.

Immediatamente dopo la devitalizzazione è normale avvertire dolore: questa, di fatto, è l’unica complicanza che può affliggere il dente sottoposto a questa tipologia di trattamento odontoiatrico.

Tuttavia, grazie alle attuali tecniche e al miglioramento delle procedure di anestesia, oggi l’intervento di devitalizzazione è molto meno doloroso di quanto non fosse in passato.

Come eliminare il dolore dopo la devitalizzazione

Se subito dopo l’intervento (o qualche giorno dopo) il dente fa male o crea fastidio, potresti applicare del ghiaccio a fasi alterne (di circa 15-20 minuti). Il freddo, infatti, provoca una vasocostrizione e può quindi aiutare a diminuire dolore o gonfiore originatosi in seguito al trattamento.

Se invece il dolore è piuttosto intenso, assumere antidolorifici o antinfiammatori – come paracetamolo, ibuprofene o ketoprofene – sarà sicuramente d’aiuto. Ricorda però di non abusare di questi farmaci, dato che possono anche avere degli effetti collaterali.

È buona norma al fine di evitare ulteriori problematiche effettuare una corretta ed accurata igiene dentale, sottoponendosi poi anche a sedute di igiene professionale.

Un occhio di riguardo dovrebbe anche riguardare l’alimentazione: sarebbe bene, infatti, non consumare (o farlo in maniera limitata) cibi dolci: questi alimenti costituiscono il nutrimento dei batteri che possono proliferare e provocare danni.

Infine, anche il fumo dovrebbe essere evitato: le sostanze in esso presenti, infatti, svolgono un ruolo notevole nell’irritazione dei tessuti del cavo orale.

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Solitamente, comunque, il dolore dovuto alla devitalizzazione sparisce dopo pochi giorni. Se però questo non accade, le cause possono essere diverse. Cerchiamo di capire quali siano ed eventualmente come risolverle.

Un dente devitalizzato viene volgarmente definito “morto”, in quanto la polpa – che costituisce il tessuto vitale di un elemento dentario – viene completamente rimossa anche a livello delle radici.

E allora perché in alcuni casi il dente devitalizzato fa male?

Devi sapere che i denti hanno dei recettori di pressione che, se stimolati oltre la soglia, provocano una sensazione di dolore.

Il trattamento di un dente che fa male dopo una devitalizzazione dipende dalla causa che lo provoca.

Se la sintomatologia dolorosa dipende da un trattamento non correttamente eseguito, l’odontoiatra potrebbe ritenere opportuno effettuare un ritrattamento. Questo prevede la riapertura del dente, la pulizia di camera pulpare e canali radicolari e la loro corretta otturazione.

Questa metodica è indicata anche nel caso in cui il dolore sia dovuto all’infiltrazione batterica nei tessuti più profondi. I trattamenti antibiotici, che solitamente vengono prescritti in caso di infezione, non sono sufficienti a risolvere il problema. Questi farmaci, infatti, alleviano soltanto la sintomatologia acuta, ma è assolutamente necessario ritrattare il dente per poter debellare completamente l’infezione.

Se invece il dolore è causato da una pressione eccessiva – provocata, per esempio, da un restauro incongruo che rende il dente “troppo alto” dando origine ad un precontatto – una soluzione potrebbe essere “limare” il dente per ridurre questa interferenza.

Quando si deve togliere un dente?

L’estrazione di un dente è inevitabile quando, in presenza di una patologia correlata, non ci sono le condizioni per una terapia conservativa/endodontica e quando la permanenza del dente in bocca può provocare ulteriori lesioni ai denti vicini o all’osso circostante

I denti solitamente vengono estratti nelle seguenti circostanze:

  • denti gravemente infetti da carie profonde
  • pulpiti o ascessi dentali non trattabili
  • denti colpiti da granuloma o cisti dentali non curabili tramite apicectomia
  • denti scheggiati pericolosamente che non possono essere recuperati mediante interventi di ortodonzia
  • piorrea avanzata
  • affollamento dentale
  • denti soprannumerari
  • inclusione dentale
  • mancata caduta dei denti da latte
  • chemio – radioterapie

Indipendentemente dalle situazioni appena descritte, spetta poi al giudizio del dentista stabilire se procedere o meno con l’estrazione di un dente.

Pur essendo diventato un intervento di routine, l’estrazione è comunque un’operazione chirurgica a tutti gli effetti che come tale comporta rischi.

Il dente del giudizio: un caso particolare

Come abbiamo detto all’inizio, il dente del giudizio può essere estratto anche a scopo preventivo. Ma perché? Il motivo principale che spinge l’odontoiatra verso l’avulsione è che questi denti spesso non trovano lo spazio necessario alla loro eruzione.

I terzi molari spesso possono, proprio a causa della mancanza di spazio, posizionarsi non correttamente, rimanendo quindi “intrappolati” all’interno dell’osso o spuntando storti o solo parzialmente.

Ciò può provocare dolore e fastidi e può anche essere un ostacolo alle normali manovre di igiene orale, causando carie e altri problemi anche ai denti vicini.

Quindi, per evitare queste complicanze, solitamente il dentista opta per l’estrazione, anche nel caso in cui i denti del giudizio non stiano ancora dando segni di infiammazione o dolore.

L’avulsione di questi elementi dentari a volte può risultare un po’ più complicata rispetto ad altri casi. Sarà compito del tuo odontoiatra valutare la migliore tecnica per l’estrazione, considerando anche la posizione del dente rispetto all’osso o ad altre strutture vicine.

La ricostruzione con perni dei denti “devitalizzati”

Quando un dente viene trattato endodonticamente (devitalizzato) le sue caratteristiche cambiano. Mutano le caratteristiche:

  •  fisico-chimiche (il dente si disidrata, cambia la struttura di  alcune molecole proteiche che lo costituiscono)
  •  biologiche (il dente non ha più terminazioni nervose al suo interno)
  • meccaniche (il sacrificio di sostanza dentale per accedere all’interno del dente stesso lo indebolisce).

La ricostruzione del dente trattato endodonticamente diviene quindi un importante completamento della cura endodontica che ha  come fine ultimo quello di preservare il dente stesso e la sua funzione. Di tutti i fattori che portano ad un indebolimento del dente trattato endodonticamente, sicuramente il più importante è la quantità di tessuto dentale che viene sacrificata perché compromessa dalla carie o per poter accedere alla camera pulpare ed eseguire la terapia endodontica. Una particolare importanza, a questo riguardo, va data alla zona marginale della corona del dente, cioè la zona più vicina alla gengiva, la cui persistenza consente di sfruttare il cosiddetto effetto ferula nella ricostruzione dentale. L’ideale sarebbe poter utilizzare materiali che fossero completamente biomimetici rispetto al dente, cioè avessero le stesse qualità fisiche e meccaniche di ciascuna delle diverse parti del dente che sono andate perse. Rispetto ad alcuni anni fa, quando la merceologia offriva materiali meno sofisticati, si sono fatti passi da gigante dovuti specialmente alle nuove tecniche adesive ed alla introduzione di materiali compositi molto performanti.

Ricostruzione con perni endocanalari

Quando il tessuto dentale residuo è scarso si ricorre al posizionamento di un perno endocanalare, la cui principale funzione è sostenere il restauro coronale sfruttando la ritenzione garantita dal suo inserimento nei canali radicolari. Poiché anche il posizionamento di un perno endocanalare non è scevro da rischi, si ritiene che vi sia un’indicazione al suo utilizzo quando siano residuate meno di 2 pareti dentali assiali valide. Una parete assiale dentale è valida se alta almeno 2 mm e spessa almeno 1mm. Ovviamente è il clinico che valuta da caso a caso in base alle forze della masticazione, alla qualità del resto della dentatura, al tipo di ricostruzione dentale progettata, se sia il caso o no di utilizzare un perno. Le caratteristiche ideali del perno endocanalare dovrebbero essere: trasferire gli stress della masticazione a tutta la sostanza della radice dentale, conferire rigidità alla ricostruzione per contrastare le forze flettenti che agiscono sulla corona del dente. Il perno endocanalare dovrebbe aderire perfettamente alla dentina radicolare e consentire il massimo risparmio di sostanza dentale per non infragilire il dente.

Perni: materiali utilizzati

Fino ad oggi, molto spesso sono stati utilizzati perni in lega aurea prodotti in laboratorio o perni in acciaio del commercio od addirittura viti endocanalari. Negli ultimi anni sono stati introdotti perni indiretti in carbonio rinforzati con fibre. La struttura di questi perni è costituita da fibre di carbonio allineate longitudinalmente unite solidamente da una matrice di resina epossidica. Sono dotati di un’elevata resistenza tensile ed alla fatica. Questi perni dimostrano di avere buona resistenza, assenza di corrosione, maggior elasticità rispetto ai perni in metallo e conferiscono una miglior distribuzione dello stress sulle pareti delle radici. Una delle caratteristiche che consigliano la scelta di questo tipo di perni rispetto ai perni fusi prodotti in laboratorio è che per il loro posizionamento in sede intracanalare è necessario un sacrificio di sostanza radicolare pari alla metà di quello necessario per i primi. Ciò riduce di molto il rischio di fratture radicolari. Inoltre il trattamento risulta essere rapido ed economico, come mostrato dal filmato: non c’è necessità di eseguire impronte o ricorrere all’aiuto di un laboratorio odontotecnico. Nei casi estetici è possibile utilizzare una variante bianca di questi perni che si mimetizza molto bene nel contesto dentale. Controindicazione all’uso di questi perni è la mancanza di un buon effetto ferula (quando manca il tessuto dentale al colletto), perché potendo flettersi maggiormente sotto i carichi masticatori, risulta più facile la loro decementazione  dalla radice; inoltre sono controindicati nei denti molto piccoli(incisivi inferiori  per esempio) perché non possono supportare ricostruzioni adeguate. In questi casi si preferiscono ancora i perni fusi in oro.

Applicazione dei perni

Il posizionamento del perno in fibra presuppone la preparazione di un adeguato alloggiamento nella radice dentale. Questo avviene a mezzo di frese adatte calibrate come si vede nel filmato. La preparazione deve limitarsi a circa la metà della lunghezza radicolare, preservando almeno 4 – 5 mm di guttaperca all’apice radicolare per garantire il sigillo apicale della cura endodontica. I perni hanno forma conica proprio per rispettare le parti più profonde e sottili delle radici. I perni vengono cementati con cementi resinosi le cui qualità adesive vengono ottimizzate da procedure corrette di condizionamento dentinale. Ciò significa che è  necessaria un’ottima detersione dello spazio radicolare dove  si inserirà il perno, la sua mordenzatura, la disattivazione mediante lavaggio con clorexidina degli enzimi collagenolitici che possono compromettere nel tempo la stabilità del legame adesivo. Sono necessari il trattamento con primer dentinale e l’uso di un cemento duale cioè che polimerizzi sia grazie alla  fotopolimerizzazione che grazie all’autopolimerizzazione dato che la luce alogena non penetra la cavità radicolare. Anche l’inserimento del cemento nella cavità non è scevro da rischi, specie per la possibile formazione di vuoti che esitano in una cementazione incompleta. Ancora una volta è evidente che anche una procedura routinaria della pratica clinica odontoiatrica necessita di approfondite conoscenze e capacità valutative a 360° per fornire il meglio ai nostri pazienti. Per maggiori informazioni sulla ricostruzione con perni contattate uno dei nostri studi DENTAL ONE e riceverete tutte le risposte!

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